Barbarah Guglielmana - Rondini come Formiche
edizioni O.M.P
I poeti si avvalgono della
facoltà di non rispondere
di Fabio Prestifilippo
La silloge Rondini come
formiche si qualifica per l’assenza degli elementi che una raccolta di
poesie dovrebbe possedere: organicità, tensione narrativa, un climax che ci
porti dallo zero emotivo all’amplesso: il canone è evaso, è recalcitrante, è
riottoso ed è splendidamente privo di importanza. Eppure non è una poesia che
grida, non sono motti ai quali lo spettro di Majakovskij arriderebbe e non sono
versi ai quali un redivivo Brecht applaudirebbe per la loro elementare
perentorietà. La novità nei versi di Barbarah, che sa coscientemente come non
utilizzare la retorica del verso strutturato sta nella capacità di risolvere in
ogni poesia la sua visione delle cose; in questo senso posseggono uno sguardo
velocemente conclusivo, hanno fretta di imprimersi e non vogliono e non cercano
la quiete e il tempo di una narrazione:
“io infinita non
esagerata/ ma parziale e non comprensiva”.
Esistono poeti che narrano la propria condizione esistenziale
avvalendosi di un continuum dialogico con se stessi, che produce un ideale
ambiente densamente ordinato e lineare ed esistono conseguentemente opere nelle
quali le liriche sono tra di loro inscindibili: miracoli di coerenza. In apertura ho usato il termine dovrebbe con molta parsimonia perché
credo nel potenziale narrativo ma sono altrettanto convinto che “l’organicità”
non sia l’unico veicolo, l’unico dato occasionale. Da qui Barbarah nei sui
versi sparsi riesce comunque a compiere
una sapiente orchestrazione, un ritmo che scorra come una sinfonia di
sensazioni.
Nell’intelligente nota introduttiva Anna Ruchat scrive: “Non
mi ero resa conto, vedendo le poesie alla spicciolata, di quale complesso
disegno ci fosse dietro e soprattutto di quanto quelle poesie rispecchiassero
il sentire di una generazione. E’ leggendo tutto questo Rondini come Formiche,
questa sorta di allegro diario di bordo alla deriva, che ho visto di colpo quei
versi solo apparentemente naiv di Barbarah comporre il resoconto di un mondo
interno mutato, privo di nostalgia, eppure nitido, nonostante le prospettive
mozzate”
Il titolo riporta ad agili e brevi voli - come le rondini- in
una spazio denso e quasi magmatico -
come le formiche - dentro questo
contenitore dove le cose accadono ad una velocità eccezionale, senza possedere
un senso che le tenga, si svolge la vicenda di Rondini come Formiche. Nel
bellissimo enjambement iniziale, tra titolo e verso di apertura Barabarah dice:
La mia poesia//si
chiama vita.
e oltre:
sono piccolina/ e
schiacciandomi nel polo centrale/ macchio con un puntino/ il foglio, da
scrivere, della mia vita.
Questo è il suo manifesto; dichiararlo in apertura è molto
coraggioso, sembra un annuncio di staticità (l’ennesimo canzoniere!), eppure l’io poetico di Barbarah è schizofrenico si muove fra spazi
mentali, è nelle corsie di ospedali “Emigrata”,
è in occasionali racconti di vita “Il Fungaiolo”, in estasi naturalistiche
“Gru coronata”, nelle vene spezzate
di un amore finito “Il bacio”, nell’algida
consapevolezza dell’impossibilità della coppia comunemente intesa “L’acciaio non arrugginisce”, nella
storia come dovere, come imperativo categorico, nella memoria come etica morale
“Ti ricordi di Sarajevo”, nella
cognizione sempre vigile che non dimentica l’eterno dilemma del conflitto di
classe “Addio operario”. Un impegno
verso un campo di argomenti multiformi, affrontati con piglio deciso, senza
troppe delicatezze; eppure la sua legittimazione è volutamente minima … un
puntino che macchia il foglio da scrivere.
Come potrebbe essere altrimenti? La nuova generazione di
poeti si avvale della facoltà di non rispondere, non si porta sulle spalle il
peso di una bandiera cenciosa. Se il secolo passato e presente sono rei di
qualcosa la colpa riguarda indubbiamente la metamorfosi della sensazione del
tempo, e dei suoi spazi. Un procedere spasmodico che lascia solo sparsi brandelli di memoria e in questa
gettata di bruttezza non rimane che scrivere velocemente e poi scappare: una
fuga che non incarna il timore di dire ma il coraggio di definire. Barbarah ne
è cosciente, il puntino che macchia il foglio da scrivere è esile ma lascia una
traccia indelebile ed è l’appiglio che ci salva:
mi chiami
E mi volto:
io sono
sopravvissuta
all’inondazione.
Ma non è un
complimento che mi fai
Però è così
che ci si rivolge
a chi porta
in giro
La puzza
marcia
dei fiori
morti