Rosso Malpelo e la pedagogia della crudeltà
di Fabio Prestifilippo
Il Verga
della novella Rosso Malpelo non esiste come narratore interno alla
storia, esso assume la voce corale di una moltitudine di personaggi; i popolani
Siciliani. Per il lettore che si propone di approfondire le istanze morali di chi scrive è difficile definire le
qualifiche di un ipotetico autore implicito. Vi è la nota presenza di un collage
di voci e di interventi che designano una moralità eterogenea. Fra gli strumenti
utilizzati dal Verga per raggiungere lo scopo il canone dell’impersonalità ha un
ruolo di spicco, esso prevede la presenza-assenza di un narratore che non è mai
rintracciabile come figura onnisciente nel testo. Per raggiungere un tale stato
di lontananza Verga utilizza un registro narrativo comunemente usato dai
narratori veristi:il discorso indiretto libero.
Avvalendosi delle parole del Grosser possiamo definire il discorso
indiretto libero come : “un resoconto di pensieri e parole di un personaggio non
introdotti da verbi del dire o del pensare. E si ricordi che il resoconto
comporta che le parole e i pensieri dei personaggi siano riportati con la
mediazione del narratore.”
Un’alternativa
importante al discorso indiretto libero, che viene ripetutamente utilizzata
nella novella di Malpelo, è il discorso diretto libero. Un possibilità
significativa laddove il Verga cerca di focalizzare ulteriormente l’attenzione
sul mondo interiore di chi parla.
Nessuno
badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come un bestia
davvero.
-
To’!-
disse infine uno. – E’ malpelo! Di dove è saltatati fuori,
adesso?
-
Se non fosse stato Malpelo non se la sarebbe
passata liscia…-
Un
narratore quindi difficilmente rintracciabile che a volte si affaccia nella
storia per lasciare un segno appena tangibile. Ma non è nelle singole
affermazioni dei protagonisti che dobbiamo cercare il sunto della poeticità
Verghiana, bensì nel respiro più ampio
del racconto preso nella sua complessità. L’antifrasi come elemento cardine della
struttura del racconto ne è una prova reale. Le affermazioni fatte a volte sono
confutate dal pensiero effettivo. Se esistesse un autore implicito individuabile
probabilmente il lettore sarebbe portato a pensare che quest’ultimo considera
Malpelo una sorta di bestiale individuo privo di un qualsiasi barlume di
coscienza. In verità coloro che appaiono come i veri carnefici sono i personaggi
secondari. I compagni di lavoro che lo pestano brutalmente, la sorella che lo
“rinnega” per la sua selvatica presenza.
Apparentemente il metro morale dell’autore non sembra esistere, la
coralità delle voci determina un ambiente etico multiforme .Malpelo viene giudicato dalla massa come una sorta di bestia
relativamente pensante.
“un
monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, che tutti schivavano
come un cane rognoso, e lo accarezzavano con i piedi”, ”egli andava a
rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi un po’ di pane
bigio come fanno le bestie sue pari”, si graffiava la faccia ed urlava, come una
bestia davvero”, “e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio
come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo
loro” .
Se ci
atteniamo al giudizio della gente ne consegue che Malpelo è un reietto più
vicino agli istinti che alla ragione, ma come sostenevo prima, analizzando in
profondità le motivazioni che scatenano la violenza di certe reazioni è
possibile comprendere che la sua ferocia è la derivante di un disagio sociale.
Da ciò ne
consegue che il narratore esterno è una sorta di burattinaio che manovra il
pensiero e le azioni di più personaggi per raggiungere lo scopo d’essere
moralmente presente nella totalità della storia. Esso c’è sempre ma è
nascosto. Nell’ipotizzare una critica
alla novella Reverendo il Grosser sostiene che il narratore si presenta
come un personaggio (individuale/collettivo) inserito nel mondo sociale che
descrive, in grado di accedere a ogni pettegolezzo. Un presupposto valido anche
per Malpelo dove l’autore è interamente mimetizzato poiché immerso in ogni singola presenza. Se quindi
il narratore è poco rivelato, si dice che la distanza tra il lettore e gli
eventi diminuisce, e che si ha una narrazione mimetica. In presenza di una
definizione tale è possibile infine
sostenere che il pensiero effettivo, nel nostro caso, dia voce ad ogni
personaggio, ma non in parti uguali. Gli stessi personaggi che sembrano
assolvere alla funzione di elementi fuorvianti, che attraverso la loro “voce” si
allontanano dal pensiero effettivo, sono paradossalmente utili al fine di
scoprirlo oggettivamente. Se il lettore scopre il narratore, se è in grado
attraverso una sommatoria di voci differenti di desumerne il portato morale allora
sembra in parte fallire il presupposto operativo della narrazione
mimetica, che vuole un racconto puramente oggettivo. Ma non è possibile ottenere una vera e propria mimesi (scomparsa
del narratore) se non nel racconto di parole, cioè nella pura e semplice
registrazione di parole pronunciate dai personaggi, senza didascalie, senza
descrizioni di gesti o azioni dei medesimi(cit).
- La cava
come luogo di rifugio-
La sciara
si stendeva malinconica e deserta, fin dove giungeva la vista, e saliva e
scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse o
un uccello che venisse a cantarci. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di
piccone di coloro che lavoravano sotterra.
Lo spazio
fisico nel quale si snoda la storia possiede a mio avviso un’ambivalenza significativa. Gli avvenimenti
raccontati si svolgono principalmente in due luoghi cardine, la cava nella quale
Malpelo lavora come manovale e i luoghi all’aperto dove il protagonista consuma
la sua difficile esistenza sociale. E’ noto da subito come l’influsso della voce
psicologica di Malpelo influisca sulla visione complessiva del mondo fisico
circostante. Il personaggio principale considera la cava come il luogo che gli è
più congegnale, lo spazio dove il
destino ha collocato i reietti. E’ pur vero che Malpelo sogna un ambiente di
lavoro diverso, una professione che gli permetta il godimento pieno della natura ma con la stessa forza con cui favoleggia l’alternativa esso è
convinto dell’ineluttabilità del suo destino.
Certamente egli avrebbe preferito di
fare il manovale, come ranocchio, e lavorare cantando sui ponti, in alto, in
mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena, o il carrettiere come
compare Gaspare…[…] Ma quello era il mestiere di suo padre, e in quel mestiere
era nato lui.
La cava
di Malpelo, come la chiama la gente è in definitiva la vera casa del nostro
eroe, il luogo dove esso consuma la sua vita sociale e lavorativa, il luogo dei
soprusi e delle tragedie ma anche lo spazio dove Malpelo gode dell’affetto del
padre e dell’originale amicizia con Ranocchio. Malpelo “era sempre stato là da
bambino e aveva sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sottoterra, dove
il padre soleva condurlo per mano”. L’esterno è solo il territorio
dell’emarginazione, esso è l’estensione e la cagione principale del male
esistenziale di Malpelo. Fuori dalla
cava e lontano dalla microsocietà dei soprusi esso si muove fra
la gente comune alla stregua di
un cane randagio che per l’esperienza in percosse scappa non appena percepisce
l’immediata vicinanza delle altre persone.
A casa lo aspetta la freddezza della madre e la violenza della sorella
che “gli faceva la ricevuta a scapaccioni”. Anche all’interno della cava
Malpelo è visto come una sorta di “diavolaccio pestifero”, eppure qui si muove
senza impaccio; l’esperienza acquisita in anni di angherie generi in lui una
negativa ma consapevole visione della vita.
Opprimente e angosciosa è quindi sia la casa natale che la cava,
quest’ultima però per il nostro protagonista è lo stambugio dentro il quale
schermarsi dalla sua condizione di ragazzo al margine della società. A tutti gli
effetti la porzione maggiore di vita Malpelo la passa a zappare la sabbia ed è
lì che esso raccoglie i calci dei manovali e le carezze del padre è lì che
bastona violentemente il mulo perché salga con più solerzia e picchia Ranocchio
per insegnargli le “regole” della vita;
il buio del budello terroso è tutto ciò che Malpelo possiede e ne esce
“solo perché aveva anche le mani per aiutarsi colla fune, e doveva andare a
portare a sua madre la paga della settimana”. Le tenebre e la disperata solitudine
della cava scalfite solo dalla luce fioca delle lanterne acquisiscono un aspetto
quasi poetico se viste come il rifugio dove il nostro eroe brutale cerca asilo
dalla vita. Ma per lo sguardo disilluso di Malpelo la bellezza è un male,
la sua lucida e drammatica concezione
dell’esistenza dovrà contaminare anche
la natura circostante, sino a renderla buia in eterno, oscura e claustrofobia
come deve essere per i minatori la cava di terra. La bellezza di certe notti
stellate è per Malpelo cagione di odio e tristezza.
-
Per noi
che siamo fatti per vivere sotterra, -
pensava Malpelo, - dovrebbe essere buio sempre e da per
tutto.
- Il
tempo e il sistema dei personaggi-
Credo si
possa sostenere che l’unico cardine temporale rintracciabile nella novella di
Malpelo, punto di riferimento utile alla definizione del prima e del poi, sia la morte di Misciu
Bestia. Si fatica notevolmente muovendosi nell’intreccio a ricostruire “una
unità di contenuto riordinata secondo successione logico temporale” (la
fabula). E’ partendo dal confronto tra fabula e intreccio, tra ciò quindi che
è nella volontà espressiva dell’autore
ed una forma di parafrasi atta alla descrizione dei punti focali del
testo, che vedo nella morte del padre l’asse temporale del racconto. Misciu
Bestia muore prematuramente; l’evento
genera, oltre allo scatenamento del peggior Malpelo, riferimenti fondamentali per la collocazione spazio temporale del
nostro personaggio. E’ dopo la tragedia che Malpelo si rinchiude in una sorta di
asocialità scontrosa.
Il Verga
di Malpelo non concede al lettore significative descrizioni del tempo che passa
se non a volte con formule simili all’ellisse o nella breve raffigurazione di un
momento preciso della giornata. Sappiamo che è notte perché il cielo sotto il
quale si stende Malpelo per riposare brulica di stelle o che è giorno e c’è luce
al di fuori della cava perché consideriamo che la giornata lavorativa dei
minatori cominci all’alba per concludersi al tramonto, che i minatori lavorino
nelle ore di luce. L’ellisse, per fare un esempio, è palese nel punto un cui
l’autore descrive l’involuzione psicologica del personaggio
principale.
Dopo la
morte del padre pareva che gli fosse entrato
il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si
tengono con l’anello di ferro al naso.
Il testo
è inoltre ricco di analessi, l’autore
tende a proiettare improvvisamente
Malpelo in un passato contestuale per fornirci i dati necessari utili al
rintracciamento di elementi che possano
indirizzarci verso le motivazioni che hanno scatenato il suo disagio . Assai ridotta è la pratica della
prolessi solo in un passaggio
emblematico essa si mostra chiaramente al lettore; dove il narratore descrive
Misciu Bestia e in un tentativo di confronto con il figlio fa dire a un
personaggio comparsa.
-
Va là,
che tu non ci morrai nel tu letto, come tuo padre-
Invece
nemmeno suo padre ci morì, nel suo letto, tuttochè fosse una buona
bestia
In due
soli enunciati il Verga ci svela il principio e la conclusione del
racconto.
Citando
infine le parole del Grosser sulla novella Il Reverendo ma che bene si
adattano anche al nostro caso esso dice:
La
struttura del racconto obbedisce sostanzialmente a un criterio non cronologico.
Ovvero: l’opposizione temporale fondamentale è quella tra tempo o tempi della
narrazione e tempo dell’avventura, irriducibile ad un ordine preciso. Ciò che
importa al narratore, è infatti delineare il ritratto psicologico e sociologico
del Reverendo, non tanto la sua storia: questo spiega anche il notevole rilievo
dato agli eventi iterativi rispetto a quelli unici.
L’
importante è marcare profondamente certi
indizi con l’unico chiaro intento di descrivere la realtà esistenziale di
Malpelo. Da tutto ciò consegue la sua centralità nel sistema dei personaggi.
Malpelo è l’unico a possedere uno
sviluppo psicologico che lo pone senza dubbio nell’insieme delle personalità a
tutto tondo. Gli altri si collocano sostanzialmente come figure secondarie
aventi caratteristiche di supporto; sono quindi funzionali al personaggio
principale e mantengono per tutta la
loro caratteristica principale:”non vengono modificati dalle circostanze; sono
monolitici, attraversano le circostanze o sono il frutto di una singola
circostanza che li definisce”. Un esempio rappresentativo è la figura del padre
che sebbene sia per il protagonista l’unico riscontro oggettivo con il concetto
di tenerezza familiare, come personaggio in se non sviluppa una coscienza, non
cambia il suo rigido moto di “vita”. Misciu Bestia sembra non far altro che
lavorare per mantenere in salute la famiglia. “Era stato un magro affare e solo
un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal
padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da
basto di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava
di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e
attaccar brighe.” Limitati dal fatto che Misciu muore all’inizio del racconto
saremmo comunque portati a pensare che un personaggio che ha caratteristiche
simili non potrà rimanere altro che un personaggio piatto.
Di
Malpelo, che rispetta le “norme” per essere definito un personaggio complesso e
problematico, è descritto sia il critico
rapporto con la gente che la sua
negativa visione della vita. Forse negativo è un termine che non definisce
appieno le peculiarità caratterizzanti il suo pensiero, mi spingo sino a
considerare che la filosofia malpeliana è per noi che la interpretiamo
certamente pessimistica ma per lui che la vive
è necessaria alla sopravvivenza.
Vedere la vita come un campo di eterna battaglia dove colui che assegna lo
schiaffo più forte è salvo è indubbiamente il primo degli strumenti di difesa
che il protagonista fa proprio contro le prevaricazioni subite. Forse in un
ambiente sociale estremo come quello della cava le reazioni di Malpelo sono se
non condivisibili almeno giustificabili alla luce di una differenza sostanziale,
quella cioè fra la violenza di chi opprime e la violenza di chi reagisce
all’oppressione. Le vicende rendono Malpelo simile ad un animale rancoroso, egli
non è in verità d’indole malvagia. Da
qui l’importanza del rapporto che Malpelo instaura con Ranocchio, momento nel
quale si snodano i dati necessari a liberare Malpelo dalla taccia d’essere un
bambino scellerato.
Il coro
dei paesani lo introduce così:
Per un
raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto
da poco nella cava, il quale per una caduta da un ponte s’era lussato il femore,
e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello
di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome Ranocchio ; ma
lavorando sotterra, così ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava. Malpelo
gliene dava anche del su, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano.
La
differenza fra le botte ricevute da Malpelo e quelle che il protagonista
infligge a Ranocchio sta
fondamentalmente in questo
-
Tò,
bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti
voglio male, vuol dire che lascerai pestare il viso da questo e da quello!-
Parrebbe
iperbolico parlare di pedagogia, schiaffi e pugni finalizzati al bene sono pur
sempre una forma brutale ed ingiusta di educazione. Eppure nelle condizioni di
vita estrema a cui erano vincolati i minatori sembra un miracolo di socialità questo intento
formativo. Credo ci si possa spingere sino a considerare che Malpelo volesse
paradossalmente assumere le sembianze
del padre che cercava di impartirgli la dolcezza . Malpelo non è come lui,
Malpelo è un birbone un vendicativo; tuttavia con Ranocchio cerca di concludere il processo educativo
avviato con Misciu bestia. Parliamo di
rapporti invertiti, in questo caso Malpelo è il padre e Ranocchio il povero
figlio a cui impartire la lezione. Le busse prendono il posto delle carezze,
non dimentichiamo che il nostro eroe sebbene non sia una creatura malvagia è pur sempre un violento. Anche quando dona il
proprio pane a Ranocchio, quando lo aiuta nei lavori più pesanti, non esprime
mai un affetto completo, un affetto che si traduce in un gesto come l’abbraccio
o la carezza. Malpelo prova semmai una insana soddisfazione nel mostrare a Ranocchio d’essere una sorta
di creatura indistruttibile, un uomo avvezzo alla vita dura della miniera. Ciò
che preme a Malpelo è che Ranocchio si faccia le ossa e non può impartirgli la
lezione utilizzando strumenti e regole
diverse da quelle utilizzate dagli oppressori .
L’estensione
della pedagogia paterna su Ranocchio, rivista in chiave malpeliana, è un
ulteriore punto di confronto fra l’opinione che la gente ha sullo scellerato
Malpelo e l’anima nascosta che il
narratore vuole svelare. Una vicenda dimostrativa è quella che vede Malpelo
farsi cicerone di Ranocchio, mentre visitano il burrone dove giace la carcassa
del grigio.
-
Ecco come
vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche;
anch’esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare
innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse:
<< Non più! non più!>>.Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed
esso se ne ride dei colpi-
Ranocchio
è l’amico silenzioso che ascolta Malpelo, colui che lo assiste durante i lapidari monologhi filosofici, che piega la
testa subendo passivamente i metodi
estremi d’educazione decisi dall’amico per il suo bene. Vale la pena
focalizzarci ancora sull’idea manicheista di Malpelo e confrontare questi due
periodi :
“Vedi
quella cagna nera?-gli diceva- che non ha paura delle tue sassate? ,non ha paura
perché ha più fame gli altri “,
“E’ meglio
che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu
crepi!”
Una
evidente corrispondenza di intenti dove Malpelo ci indica le basi della sua
teoria: laddove un uomo può vantare la forza, intesa sia come strumento di difesa sia come mezzo per guadagnarsi il pane
allora ben venga la vita con tutte le sue ingiustizie ma se la forza manca,
se l’indigenza limita la vita anche nelle sue fasi più elementari, allora
tanto vale morire.
La morte
di Ranocchio non è che una ulteriore prova da annoverare nel manuale della vita.
Tutto passa sembra dire il nostro eroe, in attesa della morte tutto è superfluo,
poiché dopo non ci sarà nulla, nemmeno il dolore.
Sua madre
si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s’era asciugata
si suoi, dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un’altra
volta, ed era andata a stare a Cifrai colla figlia maritata, e aveva chiusa la
porta di casa. D’ora in poi se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a
lui nemmeno, chè quando sarebbe divenuto come il grigio o
come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla.
Ho
focalizzato l’attenzione sul binomio in questione perché mi premeva dimostrare
come il personaggio principale riesce ad
esorcizzare la sua pessima nomea attraverso il particolare rapporto di amicizia
con Ranocchio. E’ indubbio che
rapportarsi ad una persona attraverso il filtro dell’amicizia presuppone una
sensibilità viva. Malpelo forse non la dimostra nelle parole ma è certo l’unico
fra i minatori ad occuparsi della salute dell’amico. Qui si snoda la questione,
Malpelo è salvo dall’ ignominiosa querela del coro dei paesani. L’altra parte del sistema, cioè tutti i
restanti personaggi che ruotano attorno al protagonista e che si configurano in
base al rapporto che instaurano con Malpelo, ricoprono una funzione sicuramente
importante ma non fondamentale; almeno non di fondamentale importanza quanto il
rapporto instaurato fra Malpelo e Ranocchio. E’ indubbio che Malpelo dimostri la
sua più recondita natura attraverso il rapporto con l’amico
malato.
La madre
e la sorella altro non sono che figure piatte che tolgono a Malpelo l’ultima
appiglio possibile per godere dell’affetto di una famiglia canonica. Dal padre
Malpelo riceve passivamente le carezze e gode della sua compagnia, ma non ha sufficiente tempo per poter formare una
personalità mediata da lui, Misciu Bestia muore prematuramente. Il rapporto con
la società esterna alla famiglia è pressoché inesistente dato che Malpelo passa
il tempo libero in completa solitudine.
Malpelo
instaura un rapporto con la vita che lo rende differente da tutti i protagonisti delle novelle contenute in Vita
dei Campi. Mi azzardo a dire che il personaggio di Rosso Malpelo è l’unico ad
assumere nel corso della storia precise connotazioni di natura esistenziale. A
differenza di personaggi come Pentolaccia,
Jeli e compare Alfio, Malpelo non muore nella disgrazia, lui non sferra
il colpo tragico che concretizza la fase parossistica della vicenda. Questo
perché non esiste nulla che lo sconvolga concretamente, non esiste la speranza
che le cose cambino; Malpelo vive in una campana di vetro infrangibile. Il fatto
che accetti passivamente il pericoloso lavoro di esplorazione della cava,
attività che nessuno all’infuori di lui è disposto a fare, non credo sia per
Malpelo un cosciente tentativo di suicidio. Il protagonista si limita a ricevere
il lavoro perché non ha altra scelta,
perché è nel suo destino essere un uomo privo di speranza.
Malpelo,
invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l’oro del mondo per la sua
pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicchè pensarono a lui. Allora nel
partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni,
e cammina ancora nel buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma
non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre,
il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se
ne andò: né più si seppe nulla di lui.
Per quale
motivo altri personaggi, di altre novelle, si scagliano verso la morte con
violenza?
Perché
compare Turiddu accetta di lottare con compare Alfio e ne muore? Perché
Pentolaccia e Jeli si macchiano con il sangue dell’omicidio? Perché la bella
Peppa, felice promessa sposa, abbandona il suo roseo futuro di moglie per
seguire le sorti di Gramigna il bandito?
Questi personaggi inseguono la felicità, e credono di conseguenza nel
presente della vita. Non si spiegherebbe l’atto tragico se considerassero
l’esistenza come una sosta obbligata in attesa della morte . Per Malpelo invece la morte, anche se non
desiderata, è il conseguente spegnimento di tutti i dolori fisici ed
esistenziali che un uomo deve sopportare nel corso di una esistenza. Malpelo non considera il concetto di
felicità, non attende nulla ed è perciò imperturbabile; la disillusione è quindi
la sua più efficace arma di
difesa.
L’asino
grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i
cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde,e a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli
laceravano le viscere non lo avrebbero fatto piegare di un pelo, come quando gli
accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli in corpo un po’ di vigore nel
salire la ripida viuzza. – Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei
colpi di zappa e delle guidalesche; anch’esso quando piegava sotto il peso, o
gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo
battevano, che sembrava dicesse: <<Non più, non più!>> Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed
esso ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta
denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio
Bibliografia
Verga,
Giovanni
Vita dei
campi, in
Tutte le novelle, a cura di Sergio Campailla, Biblioteca Economica
Newton, Roma 1992.
Grosser,
Hermanne
Narrativa
: manuale, antologia, Milano
: Principato, 1985