La dolorosa inconsistenza del corpo
di Fabio Prestifilippo
1-Dialogo tra Agostino
di Alberto Moravia e Il mare immobile
di Valentina Ferri
Il termine inglese environment significa in egual misura ambiente, contesto e
condizione; nel nostro caso l’evironment narrativo è il mare, nella fattispecie
il soleggiato litorale toscano: Lia di 10 e Agostino di 13 anni con le proprie
madri vi trascorrono le vacanze estive, in una apparente quiete alto borghese
fatta di bagni nel tardo pomeriggio e di cinema all’aperto. Agostino è un bambino come tanti, colto nel
momento del suo transitare lento, ma inesorabile, dalla fanciullezza all’età
adulta; qui, tra le pagine di questo romanzo, egli ha ancora i contorni
dell’adolescente incompleto.
Sensibile e
irrequieta, dotata di un’intelligenza viva e precoce, Lia ama leggere, scrivere
e recitare, le piacciono la musica e gli sceneggiati televisivi.
Il nostro mare è lo spazio fisico e temporale nel
quale i personaggi si trovano al culmine della loro fanciullezza. In un
transito della coscienza tipicamente narcisistico dove la realtà delle cose
assume un significato rilevante solo se chiaramente funzionale. Da qui
l’incapacità di essere permeabili alla bellezza, segno di un turbamento che è
ancora in sordina ma che progressivamente si configurerà come nuova voce
dell’io.
Ci si va un giorno sì e uno no: borsa frigo con acqua
panini e frutta, bicchieri e tovaglioli di carta e poi via verso la città.
Costeggiando le montagne cave di marmo […] Arrivate a Lucca la mamma ogni volta
ci fa notare come sono belle le mura ancora intatte, com’è tenuto bene il prato
intorno alla città. Poi si prende la strada per Focette, e arrivate lì
finalmente via verso la spiaggia. (Il mare immobile)
Finito il bagno, risalivano sul pattino e la madre
guardando intorno al mare calmo e luminoso diceva: “Come è bello, nevvero?”
Agostino non rispondeva perché sentiva che il godimento di quella bellezza del
mare e del cielo, egli lo doveva soprattutto all’intimità profonda in cui erano
immersi i suoi rapporti con la madre. (Agostino)
Il mare come
la loro sorte morale è destinato a subire un’avanzante trasfigurazione: da
luogo ameno della fanciullezza a distesa abbacinante di dolore e rivelazione.
Non essendo esplicita l’intenzione (fortunatamente
non lo è mai!) è azzardato dare un termine retorico fisso al luogo della
narrazione, altresì credo che all’andamento lineare moraviano e alla turbolenza
narrativa di Valentina Ferri il mare sia necessario. Certo non è rischioso
pensare che un buon impianto scenografico, quando segue le dinamiche
psicologiche dei personaggi e ne diventa in larga misura rappresentazione e
simbolo, possa compiere una sorta di miracolo artistico: la metamorfosi da
palcoscenico degli eventi a entità fisica e morale; non intenzionale come per
il correlativo oggettivo ma in ogni modo “accidentalmente” indispensabile.
Ho sognato che facevo il bagno nel mare. L’acqua era
coperta da una pellicola trasparente, come la plastica che si usa in cucina.
Cercavo di mettere la testa sotto, ma quella pellicola mi restava incollata
come una maschera. Non riuscivo a respirare. Allora facevo un taglio con le
unghie e con i denti e sulla superficie si apriva una fessura. Tentavo di
infilare il naso e la bocca in quella ferita, per sentire l’acqua sul viso, per
trovare qualcosa che si muovesse. Ero ferma, intrappolata in un mare immobile.
(Il mare immobile)
L’investirono subito la bianca vampa, il silenzioso
fervore del solleone. In fondo alla strada, in un’aria tremolante e remota, il
mare scintillante ed immobile. All’estremità opposta la pineta inclinava i
rossi tronchi sotto le masse verdi e afose dei rotondi fogliami.
Il mare è lo
spazio infinito, è l’orizzonte senza terra dove la loro pesante gravità di
adolescenti in erba nasce, si alleggerisce e diventa improvvisamente
confessione ed urlo.
Egli sentiva tutto il suo antico animo ribellarsi a
quella immobilità e tirarlo indietro; ma quello nuovo, ancora timido eppure già
forte,lo costringeva a fissare spietatamente gli occhi riluttante là dove il
giorno prima non avrebbe osato levarli. (Agostino)
Da oggi non parlerò più. Diventerò ancora più grande,
lascerò che mi crescano i seni e i peli e diventerò come tutte le donne e come
tutte starà zitta, sarò torbida e crudele e piena di segreti. Ma prima di
tacere devo tirare fuori quell’urlo. (Il Mare immobile)
2- Lia ed
Agostino sono personaggi caratterizzati da peculiarità carenti: estremamente
magri, fragili, inappetenti, indifesi. Sembrano crisalidi chiuse nell’involucro
della loro resistente fanciullezza. L’occasione che li renderà presenti al loro
stato e che produrrà il primo strappo sarà la scoperta dell’effimera idealità
del mito materno. Per Lia questo è chiaro sin dai primi movimenti narrativi
quando, gelosa della Giulianina, accudita e aiutata da tutti , si sente trascurata
e sola; per Agostino la rivelazione si presenta nelle spoglie di un giovane che
tenta – con successo - di intrecciare
con la madre una relazione sentimentale. Stupisce in ogni modo come Lia rimanga
per tutto il corso della vicenda, anche quando l’allontanamento dal topoi
materno raggiunge un livello parossistico palese, strenuamente avvinta
all’immagine della madre come figura affettiva iperuranica.
Mi sentivo felice, finalmente noi con la mamma, fuori
di sera. La mamma è molto bella, lo dicono tutti, ha i capelli neri e folti.[…]
Mi piace annusarla, a lei invece dà fastidio. La mamma non mi bacia mai. Io
invece la bacerei di continuo, se non fosse che ormai sono troppo grande e che
a lei i baci proprio non piacciono. (Il mare immobile)
E’ in quel momento che io sento che il coraggio forse
mi è venuto, che non ho bisogno di nessun elisir per dirle tutto, che lei non
mi deve dire grazie che noi due siamo insieme invincibili e che io mentre le
stringo la mano sto tornando a essere vera perché si è rotto l’incantesimo,
saranno le lucciole le fate gli stornelli dei grilli ma il cuore mi batte forte
forte ed è per la gioia. (Il mare immobile)
Cercando un
motivo sostanziale per alterare la figura della madre, da elemento amoroso a
donna connotabile sessualmente, è più difficile riscontrare questa dualità
affettiva in Agostino.
L’intenzionalità svolge una funzione di iniziale allontanamento e conclusiva riunione,
per cui la vera maturazione sarà solo uno slancio temporaneo nella coscienza
del nostro protagonista, un tentativo debole di dar voce all’offesa ricevuta.
Forse per il risentimento di essere stato tratto in
inganno e di averla creduta così diversa da quella che era nella realtà; forse
perché, non avendo potuto amarla senza difficoltà ed offesa, preferiva non
amarla affatto e non vedere più in lei che una donna. (Agostino)
Per Lia ogni
occasione è potenziale per ricaricare la spinta di un amore che sembra
irrecuperabile o per soffiare sul fuoco di un odio sempre acceso. Lia ha già
maturato nei confronti della madre una contrattura costantemente predisposta a
palesarsi con violenza schizzofrenica.
Puttana.
Puttana, come dice
papà di certe donne.
Ora anche la mamma è
una puttana. (Il mare immobile)
In questo senso le storie posseggono un ritmo narrativo del
tutto differente: il ritmo Moraviano
mantiene una linearità temporale continuativa; Lia si muove tra spazi
transitori, tra continue analessi e sbalzi nel presente.
3- Il corpo di Lia è
estraneo a se stessa: l’inappetenza, la vergogna delle forme, la sensazione di
morte rendono con cognizione di causa la nostra eroina del tutto simile alle
altre adolescenti. E’ il caso di dire che, a differenza di Agostino, il corpo
di Lia è un io-corpo. La dialettica tra le due entità è per natura generatrice
di ansie e paure. Nel chiuso della sua stanza da bambina Lia sperimenta il solo
e segreto godimento che il copro può darle: strofinandosi la coperta tra le
gambe prova un piacere che la calma, che in
una dimensione altra produce una pacificazione tra l’io-corpo e la
microsocietà del suo nucleo famigliare.
Ho preso il giornale e l’ho portato in camera: poi come
faccio di sera per addormentarmi ho preso la coperta e l’ho strofinata tra le
gambe. Ho pensato che mi andrebbe che Giuliano mi facesse le stesse cose di
quella della foto,e che io direi no no
non voglio e lui mi ascolterebbe perché capirebbe che mi piace, alla fine. Dopo
un po’ di avanti e indietro mi è sembrato che scoppiasse qualcosa, mi è mancato
il fiato e ho stretto ancora più forte perché quel calduccio tra le gambe non
smettesse. Poi mi sono sentita molle, e contenta. Dopo la copertina mi sono
passate anche le paure di morire. (Il mare immobile)
La definizione io-corpo è calzante:
Lia usa la propria fisicità come schermo di difesa, come strumento di piacere,
come merce di scambio d’amore. La sua esile figura che non prova appetito per
il cibo e la vita diventa l’atto di accusa verso una madre problematica ed
assente; la tendenza ad odiare i propri seni acerbi è rifiuto del cambiamento,
è implicito bisogno d’essere ancora una bambina in attesa dell’affetto e della
protezione famigliare e l’iniziale sottomissione all’uomo che la coprirà di
attenzioni e alle quali lei accondiscende è paura di perdere l’unico vero,
sebbene deviante, legame affettivo.
Poi quando finiva tutto lui diceva vado a lavarmi le
mani, tu vestiti. Era piuttosto un ordine, e difatti quando parlava così gli
veniva una voce bassa bassa, e io avevo paura di averlo fatto arrabbiare per
qualcosa, e che non mi amava più. E io ci tenevo tanto a sentirmi la sua
fidanzatina segreta, perché avevo un bisogno grande di amore[…] (Il mare
immobile)
In Agostino il corpo non assorbe nessun
cambiamento perché è nella crisi introspettiva che si genera e si conclude la
sua vicenda. Non ci sono reazione fisiologiche che possano farci pensare ad
evoluzione di tipo sessuale - Agostino,
anche quando l’acredine cresce, è pur
sempre cedevole alle carezze della madre – la decisione infelice di rivolgersi
a prostitute non nasce dalla curiosità del sesso, fisicamente inteso, ma solo
come forma di riscatto e di perentorio allontanamento.
[…] nello sforzo di restare obbiettivo e sereno,
avrebbe voluto provare un sentimento di comprensione per il giovane e di
indifferenza per sua madre. (Agostino)
Gli pareva che soltanto in questo modo sarebbe
finalmente riuscito a liberarsi dalle ossessioni di cui aveva tanto sofferto in
quei giorni d’estate. Conoscere una di quelle donne, pensava oscuramente,
voleva dire sfatare per sempre la calunnia dei ragazzi; e nello stesso tempo
tagliare definitivamente il sottile legame di sensualità sviata e torbida che
si era creato tra lui e sua madre. (Agostino)
La fisicità di
Agostino non è un io-corpo, o quantomeno
non lo è ancora completamente. Agostino non si masturba, il piacere non lo
attraversa mai nelle viscere; quello di Agostino è un corpo che non desidera. Si
fatica a considerarlo al di fuori di un contesto prettamente borghese: lui è
bello, filiforme e fragile, quasi etereo. Sarà la banda dei reietti capitanata
dal Saro, marinaio con sei dita per mano e incline ad una sessualità deviata, a
renderlo presente ai propri ingombri terrestri; saranno la violenza delle botte,
l’incapacità di difendersi, le prove di forza, la sigaretta spenta nella mano,
le carezze del Saro a mutare il suo
corpo da pura inconsistenza a termine di paragone sociale. La violenza plebea è
per il nostro eroe una rivelazione che investe completamente un mondo del tutto anonimo.
I ragazzi invece parevano gioiosi di mettersi nudi e si
strappavano i panni urtandosi e interpellandosi scherzosamente. Erano, contro
lo sfondo delle canne verdi, in parte bruni e in parte bianchi, di una
bianchezza squallida e villosa, dall’inguine fino alla pancia; e questa
bianchezza rivelava nei loro corpi quel non so che di storto, di sgraziato e di
eccessivamente muscolo che è proprio della gente che fatica manualmente.
(Agostino)
Mentre Lia
sperimenta Agostino razionalizza, mentre il sesso per Lia è una nuova forma di
intimità con se stessa, sebbene deviata dalle tensioni di un rapporto anormale
e violento, per Agostino rimane nel novero delle fantasie, nella sua
adolescenziale incompletezza, nel rozzo spettacolo dei ragazzacci che si
rotolano nella polvere avvinghiandosi.
Il finale è di
pura eccellenza letteraria. Lia ed Agostino abbandonano la scena della
narrazione in modo magistrale: Lia con un urlo progressivo, Agostino con una
riflessione che sembra una lenta dissolvenza nel buio della notte. Allora cosa
accomuna un urlo e un abbandono? Per Lia ed Agostino che hanno vissuto sospesi
in una realtà dai contorni sfumati, una realtà imprendibile, evanescente,
ricettacolo del loro male di vivere, la dissolvenza e l’urlo sono il ritorno,
nella veste dei vinti, alla loro condizione iniziale; quando ancora non
speravano.
La madre rise e gli accarezzò una guancia. “Ebbene,
d’ora in poi ti tratterò come un uomo… va bene così? E ora dormi… è molto
tardi.” Ella si chinò e lo baciò. Spense il lume, Agostino la sentì coricarsi
nel letto. Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di
addormentarsi. Ma non era un uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima
che lo fosse. (Agostino)
Penso alla Mila di Codra che brucia e l’urlo arriva
subito. Ma non è un urlo di dolore, non sento male da nessuna parte. Io urlo di
spavento di paura, metto una a nel grido e la a si allunga poi si allarga e
infine diventa roca, uno strillo di animale che si spegna in gola, con un colpo
secco. (Il mare immobile)
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