lunedì 19 marzo 2012




Barbarah Guglielmana - Rondini come Formiche
edizioni O.M.P


I poeti si avvalgono della facoltà di non rispondere

di Fabio Prestifilippo

La silloge Rondini come formiche si qualifica per l’assenza degli elementi che una raccolta di poesie dovrebbe possedere: organicità, tensione narrativa, un climax che ci porti dallo zero emotivo all’amplesso: il canone è evaso, è recalcitrante, è riottoso ed è splendidamente privo di importanza. Eppure non è una poesia che grida, non sono motti ai quali lo spettro di Majakovskij arriderebbe e non sono versi ai quali un redivivo Brecht applaudirebbe per la loro elementare perentorietà. La novità nei versi di Barbarah, che sa coscientemente come non utilizzare la retorica del verso  strutturato sta nella capacità di risolvere in ogni poesia la sua visione delle cose; in questo senso posseggono uno sguardo velocemente conclusivo, hanno fretta di imprimersi e non vogliono e non cercano la quiete e il tempo di una narrazione:
io infinita non esagerata/ ma parziale e non comprensiva”.
Esistono poeti che narrano la propria condizione esistenziale avvalendosi di un continuum dialogico con se stessi, che produce un ideale ambiente densamente ordinato e lineare ed esistono conseguentemente opere nelle quali le liriche sono tra di loro inscindibili: miracoli di coerenza. In apertura ho usato il termine dovrebbe con molta parsimonia perché credo nel potenziale narrativo ma sono altrettanto convinto che “l’organicità” non sia l’unico veicolo, l’unico dato occasionale. Da qui Barbarah nei sui versi sparsi riesce comunque a compiere una sapiente orchestrazione, un ritmo che scorra come una sinfonia di sensazioni.
Nell’intelligente nota introduttiva Anna Ruchat scrive: “Non mi ero resa conto, vedendo le poesie alla spicciolata, di quale complesso disegno ci fosse dietro e soprattutto di quanto quelle poesie rispecchiassero il sentire di una generazione. E’ leggendo tutto questo Rondini come Formiche, questa sorta di allegro diario di bordo alla deriva, che ho visto di colpo quei versi solo apparentemente naiv di Barbarah comporre il resoconto di un mondo interno mutato, privo di nostalgia, eppure nitido, nonostante le prospettive mozzate”
Il titolo riporta ad agili e brevi voli - come le rondini- in una spazio denso e quasi magmatico  - come le formiche -  dentro questo contenitore dove le cose accadono ad una velocità eccezionale, senza possedere un senso che le tenga, si svolge la vicenda di Rondini come Formiche. Nel bellissimo enjambement iniziale, tra titolo e verso di apertura Barabarah dice:
La mia poesia//si chiama vita.
 e oltre:
sono piccolina/ e schiacciandomi nel polo centrale/ macchio con un puntino/ il foglio, da scrivere, della mia vita.
Questo è il suo manifesto; dichiararlo in apertura è molto coraggioso, sembra un annuncio di staticità (l’ennesimo canzoniere!),  eppure l’io poetico di Barbarah è schizofrenico si muove fra spazi mentali, è nelle corsie di ospedali “Emigrata”, è in  occasionali racconti di vita “Il Fungaiolo”, in estasi naturalistiche “Gru coronata”, nelle vene spezzate di un amore finito “Il bacio”, nell’algida consapevolezza dell’impossibilità della coppia comunemente intesa “L’acciaio non arrugginisce”, nella storia come dovere, come imperativo categorico, nella memoria come etica morale “Ti ricordi di Sarajevo”, nella cognizione sempre vigile che non dimentica l’eterno dilemma del conflitto di classe “Addio operario”. Un impegno verso un campo di argomenti multiformi, affrontati con piglio deciso, senza troppe delicatezze; eppure la  sua  legittimazione è volutamente  minima … un puntino che macchia il foglio da scrivere.
Come potrebbe essere altrimenti? La nuova generazione di poeti si avvale della facoltà di non rispondere, non si porta sulle spalle il peso di una bandiera cenciosa. Se il secolo passato e presente sono rei di qualcosa la colpa riguarda indubbiamente la metamorfosi della sensazione del tempo, e dei suoi spazi. Un procedere spasmodico che lascia solo  sparsi brandelli di memoria e in questa gettata di bruttezza non rimane che scrivere velocemente e poi scappare: una fuga che non incarna il timore di dire ma il coraggio di definire. Barbarah ne è cosciente, il puntino che macchia il foglio da scrivere è esile ma lascia una traccia indelebile ed è l’appiglio che ci salva:
mi chiami
E mi volto:
io sono sopravvissuta
all’inondazione.

Ma non è un complimento che mi fai

Però è così che ci si rivolge
a chi porta in giro
La puzza marcia
dei fiori morti