giovedì 6 settembre 2012




L'erotismo di Oberdan Baciro di Lelio Luttazzi


 Molti preferiscono affidarsi a metafore ittiche come pesce in mano sotto la doccia, mercato del pesce sul divano, la solitudine del pescivendolo. Zaganella è la mia prediletta, sega forse è un termine un po' trito e triste. E’ una gioia la zaganella? Chi lo può sapere.
Tutti gli uomini forse sono uomini-zaga; e l’uomo-zaga si sa, è sempre al passo coi tempi. Potremmo aprire un interminabile simposio sulla questione derivante dalle nuove frontiere della zaganella dopo l’avvento di internet, ma non mi sembra il caso di pigiare troppo forte sul tasto di un argomento che è divertente solo se trattato come un breve insieme di motti di spirito, consumati davanti alla macchinetta del caffè: “cosa farai nel week?”.
Oberdan Baciro, l’eroe della nostra storia, è tutt’altro che un uomo frustrato ed è lontano dall'essere contemporaneo; in prima istanza perchè non è un adulto ma un bambino di 8 anni, precocemente erotomane, incline al voyeurismo, zaga dipendente e figlio di una madre irredentista, patriota e rompiglioni secondariamente perchè è nella triste era fascista che Oberdan subisce le sue funamboliche sfighe.

“A Oberdan il termine <<paradiso>> sembrò un tantino esagerato. Non di meno quel brividino così poco gli dispiacque, che da allora non lasciò passare un solo giorno senza procurarselo – e più di una volta – fino ad omologare, a undici anni, il Record delle Ventiquattrore Venezia Giulia (tredici pippe in un pomeriggio).

 In un clima di fascistissime astinenze, in una  casa dove il sesso è una privazione oltremodo fisica e verbale, in una Trieste apparentemente bigotta dove le faccende del piacere si sbrigano nelle case di tolleranza, nei sotto scala dei palazzi, sulle panchine di un parco fuori porta, si configurano le vicende tragicomiche dell’educazione sessuale del nostro decerebrato Oberdan (anche se l’autore tenta in ogni modo di affibbiarli, attraverso trite prove di filosofie da taccuino, una debole identità intellettuale). La sua mente è totalmente obnubilata dal disperato tentativo, oramai adolescente, di perdere la sua vergognosa verginità.  Poiché alla base non serve, non emerge mai un riconoscile profilo psicologico del protagonista. Insomma Oberdan si districa all’interno di una tale quantità di fatalità avverse che sembrerebbero destinarlo all’eterna verginità: herpes genitali, fidanzate che lo tengono perennemente in uno stato d’eccitazione senza via di fughe, ragazzine della Trieste bene, disinibite, che lo illudono per poi gettarlo in uno stato di prostrazione ancora più profondo. Una tragedia comica quella di Baciro, dai risvolti grotteschi, per un soggetto che sembra essere stato forgiato per il sesso ma che il destino non vuole aiutare.

“La prima ero-storia di Oberdan ebbe luogo a Trieste, nel giardino di casa di un’amica di sua madre.
[…] – Ciapa quel sasso piato… sì, quel… e adesso sfreghmelo qua!
Si trattava, se Oberdan aveva ben capito, di strusciale la chiappa non già con la manina, ma con una pietra!
Deluso ma obbediente, Oberdan eseguì.
Durante l’operazione Aurora sudacchiava e respirava affannosamente, e Oberdan ne trasse un’impressione a dir poco strana.
Né la propria esperienza gli consentì di inquadrare il fenomeno nel novero dei feticismi.
Improvvise voci in avvicinamento”

E’ un romanzo che mi sento di consigliare perché si “muore dal ridere”, perché il nostro protagonista – prima infante timidamente audace, poi adolescente ancora scandalosamente vergine – è anticonvenzionale, è resistente, è antifascista e  fondamentalmente non passa mai la mano; atteggiamento assai raro nello zagamento esistenziale della nostra epoca.