domenica 8 aprile 2012





Rosso Malpelo e la pedagogia della crudeltà 
di Fabio Prestifilippo

Il Verga della novella Rosso Malpelo non esiste come narratore interno alla storia, esso assume la voce corale di una moltitudine di personaggi; i popolani Siciliani. Per il lettore che si propone di approfondire le istanze morali di chi scrive è difficile definire le qualifiche di un ipotetico autore implicito. Vi è la nota presenza di un collage di voci e di interventi che designano una moralità eterogenea. Fra gli strumenti utilizzati dal Verga per raggiungere lo scopo il canone dell’impersonalità ha un ruolo di spicco, esso prevede la presenza-assenza di un narratore che non è mai rintracciabile come figura onnisciente nel testo. Per raggiungere un tale stato di lontananza Verga utilizza un registro narrativo comunemente usato dai narratori veristi:il discorso indiretto libero. Avvalendosi delle parole del Grosser possiamo definire il discorso indiretto libero come : “un resoconto di pensieri e parole di un personaggio non introdotti da verbi del dire o del pensare. E si ricordi che il resoconto comporta che le parole e i pensieri dei personaggi siano riportati con la mediazione del narratore.”
Un’alternativa importante al discorso indiretto libero, che viene ripetutamente utilizzata nella novella di Malpelo, è il discorso diretto libero. Un possibilità significativa laddove il Verga cerca di focalizzare ulteriormente l’attenzione sul mondo interiore di chi parla.

Nessuno badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come un bestia davvero.
- To’!- disse infine uno. – E’ malpelo! Di dove è saltatati fuori, adesso?
- Se non fosse stato Malpelo non se la sarebbe passata liscia…-

Un narratore quindi difficilmente rintracciabile che a volte si affaccia nella storia per lasciare un segno appena tangibile. Ma non è nelle singole affermazioni dei protagonisti che dobbiamo cercare il sunto della poeticità Verghiana, bensì nel respiro più ampio del racconto preso nella sua complessità. L’antifrasi come elemento cardine della struttura del racconto ne è una prova reale. Le affermazioni fatte a volte sono confutate dal pensiero effettivo. Se esistesse un autore implicito individuabile probabilmente il lettore sarebbe portato a pensare che quest’ultimo considera Malpelo una sorta di bestiale individuo privo di un qualsiasi barlume di coscienza. In verità coloro che appaiono come i veri carnefici sono i personaggi secondari. I compagni di lavoro che lo pestano brutalmente, la sorella che lo “rinnega” per la sua selvatica presenza. Apparentemente il metro morale dell’autore non sembra esistere, la coralità delle voci determina un ambiente etico multiforme .Malpelo viene giudicato dalla massa come una sorta di bestia relativamente pensante.

un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, che tutti schivavano come un cane rognoso, e lo accarezzavano con i piedi”, ”egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi un po’ di pane bigio come fanno le bestie sue pari”, si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero”, “e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro” .

Se ci atteniamo al giudizio della gente ne consegue che Malpelo è un reietto più vicino agli istinti che alla ragione, ma come sostenevo prima, analizzando in profondità le motivazioni che scatenano la violenza di certe reazioni è possibile comprendere che la sua ferocia è la derivante di un disagio sociale.
Da ciò ne consegue che il narratore esterno è una sorta di burattinaio che manovra il pensiero e le azioni di più personaggi per raggiungere lo scopo d’essere moralmente presente nella totalità della storia. Esso c’è sempre ma è nascosto. Nell’ipotizzare una critica alla novella Reverendo il Grosser sostiene che il narratore si presenta come un personaggio (individuale/collettivo) inserito nel mondo sociale che descrive, in grado di accedere a ogni pettegolezzo. Un presupposto valido anche per Malpelo dove l’autore è interamente mimetizzato poiché immerso in ogni singola presenza. Se quindi il narratore è poco rivelato, si dice che la distanza tra il lettore e gli eventi diminuisce, e che si ha una narrazione mimetica. In presenza di una definizione tale è possibile infine sostenere che il pensiero effettivo, nel nostro caso, dia voce ad ogni personaggio, ma non in parti uguali. Gli stessi personaggi che sembrano assolvere alla funzione di elementi fuorvianti, che attraverso la loro “voce” si allontanano dal pensiero effettivo, sono paradossalmente utili al fine di scoprirlo oggettivamente. Se il lettore scopre il narratore, se è in grado attraverso una sommatoria di voci differenti di desumerne il portato morale allora sembra in parte fallire il presupposto operativo della narrazione mimetica, che vuole un racconto puramente oggettivo. Ma non è possibile ottenere una vera e propria mimesi (scomparsa del narratore) se non nel racconto di parole, cioè nella pura e semplice registrazione di parole pronunciate dai personaggi, senza didascalie, senza descrizioni di gesti o azioni dei medesimi(cit).

- La cava come luogo di rifugio-

La sciara si stendeva malinconica e deserta, fin dove giungeva la vista, e saliva e scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse o un uccello che venisse a cantarci. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di piccone di coloro che lavoravano sotterra.

Lo spazio fisico nel quale si snoda la storia possiede a mio avviso un’ambivalenza significativa. Gli avvenimenti raccontati si svolgono principalmente in due luoghi cardine, la cava nella quale Malpelo lavora come manovale e i luoghi all’aperto dove il protagonista consuma la sua difficile esistenza sociale. E’ noto da subito come l’influsso della voce psicologica di Malpelo influisca sulla visione complessiva del mondo fisico circostante. Il personaggio principale considera la cava come il luogo che gli è più congegnale, lo spazio dove il destino ha collocato i reietti. E’ pur vero che Malpelo sogna un ambiente di lavoro diverso, una professione che gli permetta il godimento pieno della natura ma con la stessa forza con cui favoleggia l’alternativa esso è convinto dell’ineluttabilità del suo destino.

Certamente egli avrebbe preferito di fare il manovale, come ranocchio, e lavorare cantando sui ponti, in alto, in mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena, o il carrettiere come compare Gaspare…[…] Ma quello era il mestiere di suo padre, e in quel mestiere era nato lui.

La cava di Malpelo, come la chiama la gente è in definitiva la vera casa del nostro eroe, il luogo dove esso consuma la sua vita sociale e lavorativa, il luogo dei soprusi e delle tragedie ma anche lo spazio dove Malpelo gode dell’affetto del padre e dell’originale amicizia con Ranocchio. Malpelo “era sempre stato là da bambino e aveva sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sottoterra, dove il padre soleva condurlo per mano”. L’esterno è solo il territorio dell’emarginazione, esso è l’estensione e la cagione principale del male esistenziale di Malpelo. Fuori dalla cava e lontano dalla microsocietà dei soprusi esso si muove fra la gente comune alla stregua di un cane randagio che per l’esperienza in percosse scappa non appena percepisce l’immediata vicinanza delle altre persone. A casa lo aspetta la freddezza della madre e la violenza della sorella che “gli faceva la ricevuta a scapaccioni”. Anche all’interno della cava Malpelo è visto come una sorta di “diavolaccio pestifero”, eppure qui si muove senza impaccio; l’esperienza acquisita in anni di angherie generi in lui una negativa ma consapevole visione della vita. Opprimente e angosciosa è quindi sia la casa natale che la cava, quest’ultima però per il nostro protagonista è lo stambugio dentro il quale schermarsi dalla sua condizione di ragazzo al margine della società. A tutti gli effetti la porzione maggiore di vita Malpelo la passa a zappare la sabbia ed è lì che esso raccoglie i calci dei manovali e le carezze del padre è lì che bastona violentemente il mulo perché salga con più solerzia e picchia Ranocchio per insegnargli le “regole” della vita; il buio del budello terroso è tutto ciò che Malpelo possiede e ne esce “solo perché aveva anche le mani per aiutarsi colla fune, e doveva andare a portare a sua madre la paga della settimana”. Le tenebre e la disperata solitudine della cava scalfite solo dalla luce fioca delle lanterne acquisiscono un aspetto quasi poetico se viste come il rifugio dove il nostro eroe brutale cerca asilo dalla vita. Ma per lo sguardo disilluso di Malpelo la bellezza è un male, la sua lucida e drammatica concezione dell’esistenza dovrà contaminare anche la natura circostante, sino a renderla buia in eterno, oscura e claustrofobia come deve essere per i minatori la cava di terra. La bellezza di certe notti stellate è per Malpelo cagione di odio e tristezza.

- Per noi che siamo fatti per vivere sotterra, - pensava Malpelo, - dovrebbe essere buio sempre e da per tutto.

- Il tempo e il sistema dei personaggi-
Credo si possa sostenere che l’unico cardine temporale rintracciabile nella novella di Malpelo, punto di riferimento utile alla definizione del prima e del poi, sia la morte di Misciu Bestia. Si fatica notevolmente muovendosi nell’intreccio a ricostruire “una unità di contenuto riordinata secondo successione logico temporale” (la fabula). E’ partendo dal confronto tra fabula e intreccio, tra ciò quindi che è nella volontà espressiva dell’autore ed una forma di parafrasi atta alla descrizione dei punti focali del testo, che vedo nella morte del padre l’asse temporale del racconto. Misciu Bestia muore prematuramente; l’evento genera, oltre allo scatenamento del peggior Malpelo, riferimenti fondamentali per la collocazione spazio temporale del nostro personaggio. E’ dopo la tragedia che Malpelo si rinchiude in una sorta di asocialità scontrosa.
Il Verga di Malpelo non concede al lettore significative descrizioni del tempo che passa se non a volte con formule simili all’ellisse o nella breve raffigurazione di un momento preciso della giornata. Sappiamo che è notte perché il cielo sotto il quale si stende Malpelo per riposare brulica di stelle o che è giorno e c’è luce al di fuori della cava perché consideriamo che la giornata lavorativa dei minatori cominci all’alba per concludersi al tramonto, che i minatori lavorino nelle ore di luce. L’ellisse, per fare un esempio, è palese nel punto un cui l’autore descrive l’involuzione psicologica del personaggio principale.

Dopo la morte del padre pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono con l’anello di ferro al naso.

Il testo è inoltre ricco di analessi, l’autore tende a proiettare improvvisamente Malpelo in un passato contestuale per fornirci i dati necessari utili al rintracciamento di elementi che possano indirizzarci verso le motivazioni che hanno scatenato il suo disagio . Assai ridotta è la pratica della prolessi solo in un passaggio emblematico essa si mostra chiaramente al lettore; dove il narratore descrive Misciu Bestia e in un tentativo di confronto con il figlio fa dire a un personaggio comparsa.

- Va là, che tu non ci morrai nel tu letto, come tuo padre-
Invece nemmeno suo padre ci morì, nel suo letto, tuttochè fosse una buona bestia
In due soli enunciati il Verga ci svela il principio e la conclusione del racconto.
Citando infine le parole del Grosser sulla novella Il Reverendo ma che bene si adattano anche al nostro caso esso dice:

La struttura del racconto obbedisce sostanzialmente a un criterio non cronologico. Ovvero: l’opposizione temporale fondamentale è quella tra tempo o tempi della narrazione e tempo dell’avventura, irriducibile ad un ordine preciso. Ciò che importa al narratore, è infatti delineare il ritratto psicologico e sociologico del Reverendo, non tanto la sua storia: questo spiega anche il notevole rilievo dato agli eventi iterativi rispetto a quelli unici.

L’ importante è marcare profondamente certi indizi con l’unico chiaro intento di descrivere la realtà esistenziale di Malpelo. Da tutto ciò consegue la sua centralità nel sistema dei personaggi. Malpelo è l’unico a possedere uno sviluppo psicologico che lo pone senza dubbio nell’insieme delle personalità a tutto tondo. Gli altri si collocano sostanzialmente come figure secondarie aventi caratteristiche di supporto; sono quindi funzionali al personaggio principale e mantengono per tutta la loro caratteristica principale:”non vengono modificati dalle circostanze; sono monolitici, attraversano le circostanze o sono il frutto di una singola circostanza che li definisce”. Un esempio rappresentativo è la figura del padre che sebbene sia per il protagonista l’unico riscontro oggettivo con il concetto di tenerezza familiare, come personaggio in se non sviluppa una coscienza, non cambia il suo rigido moto di “vita”. Misciu Bestia sembra non far altro che lavorare per mantenere in salute la famiglia. “Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe.” Limitati dal fatto che Misciu muore all’inizio del racconto saremmo comunque portati a pensare che un personaggio che ha caratteristiche simili non potrà rimanere altro che un personaggio piatto.
Di Malpelo, che rispetta le “norme” per essere definito un personaggio complesso e problematico, è descritto sia il critico rapporto con la gente che la sua negativa visione della vita. Forse negativo è un termine che non definisce appieno le peculiarità caratterizzanti il suo pensiero, mi spingo sino a considerare che la filosofia malpeliana è per noi che la interpretiamo certamente pessimistica ma per lui che la vive è necessaria alla sopravvivenza. Vedere la vita come un campo di eterna battaglia dove colui che assegna lo schiaffo più forte è salvo è indubbiamente il primo degli strumenti di difesa che il protagonista fa proprio contro le prevaricazioni subite. Forse in un ambiente sociale estremo come quello della cava le reazioni di Malpelo sono se non condivisibili almeno giustificabili alla luce di una differenza sostanziale, quella cioè fra la violenza di chi opprime e la violenza di chi reagisce all’oppressione. Le vicende rendono Malpelo simile ad un animale rancoroso, egli non è in verità d’indole malvagia. Da qui l’importanza del rapporto che Malpelo instaura con Ranocchio, momento nel quale si snodano i dati necessari a liberare Malpelo dalla taccia d’essere un bambino scellerato.
Il coro dei paesani lo introduce così:

Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto da poco nella cava, il quale per una caduta da un ponte s’era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome Ranocchio ; ma lavorando sotterra, così ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava. Malpelo gliene dava anche del su, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano.

La differenza fra le botte ricevute da Malpelo e quelle che il protagonista infligge a Ranocchio sta fondamentalmente in questo

- Tò, bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che lascerai pestare il viso da questo e da quello!-

Parrebbe iperbolico parlare di pedagogia, schiaffi e pugni finalizzati al bene sono pur sempre una forma brutale ed ingiusta di educazione. Eppure nelle condizioni di vita estrema a cui erano vincolati i minatori sembra un miracolo di socialità questo intento formativo. Credo ci si possa spingere sino a considerare che Malpelo volesse paradossalmente assumere le sembianze del padre che cercava di impartirgli la dolcezza . Malpelo non è come lui, Malpelo è un birbone un vendicativo; tuttavia con Ranocchio cerca di concludere il processo educativo avviato con Misciu bestia. Parliamo di rapporti invertiti, in questo caso Malpelo è il padre e Ranocchio il povero figlio a cui impartire la lezione. Le busse prendono il posto delle carezze, non dimentichiamo che il nostro eroe sebbene non sia una creatura malvagia è pur sempre un violento. Anche quando dona il proprio pane a Ranocchio, quando lo aiuta nei lavori più pesanti, non esprime mai un affetto completo, un affetto che si traduce in un gesto come l’abbraccio o la carezza. Malpelo prova semmai una insana soddisfazione nel mostrare a Ranocchio d’essere una sorta di creatura indistruttibile, un uomo avvezzo alla vita dura della miniera. Ciò che preme a Malpelo è che Ranocchio si faccia le ossa e non può impartirgli la lezione utilizzando strumenti e regole diverse da quelle utilizzate dagli oppressori .
L’estensione della pedagogia paterna su Ranocchio, rivista in chiave malpeliana, è un ulteriore punto di confronto fra l’opinione che la gente ha sullo scellerato Malpelo e l’anima nascosta che il narratore vuole svelare. Una vicenda dimostrativa è quella che vede Malpelo farsi cicerone di Ranocchio, mentre visitano il burrone dove giace la carcassa del grigio.

- Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche; anch’esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: << Non più! non più!>>.Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi-

Ranocchio è l’amico silenzioso che ascolta Malpelo, colui che lo assiste durante i lapidari monologhi filosofici, che piega la testa subendo passivamente i metodi estremi d’educazione decisi dall’amico per il suo bene. Vale la pena focalizzarci ancora sull’idea manicheista di Malpelo e confrontare questi due periodi : 

Vedi quella cagna nera?-gli diceva- che non ha paura delle tue sassate? ,non ha paura perché ha più fame gli altri “, “E’ meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi!”

Una evidente corrispondenza di intenti dove Malpelo ci indica le basi della sua teoria: laddove un uomo può vantare la forza, intesa sia come strumento di difesa sia come mezzo per guadagnarsi il pane allora ben venga la vita con tutte le sue ingiustizie ma se la forza manca, se l’indigenza limita la vita anche nelle sue fasi più elementari, allora tanto vale morire.
La morte di Ranocchio non è che una ulteriore prova da annoverare nel manuale della vita. Tutto passa sembra dire il nostro eroe, in attesa della morte tutto è superfluo, poiché dopo non ci sarà nulla, nemmeno il dolore.

Sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s’era asciugata si suoi, dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un’altra volta, ed era andata a stare a Cifrai colla figlia maritata, e aveva chiusa la porta di casa. D’ora in poi se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, chè quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla.

Ho focalizzato l’attenzione sul binomio in questione perché mi premeva dimostrare come il personaggio principale riesce ad esorcizzare la sua pessima nomea attraverso il particolare rapporto di amicizia con Ranocchio. E’ indubbio che rapportarsi ad una persona attraverso il filtro dell’amicizia presuppone una sensibilità viva. Malpelo forse non la dimostra nelle parole ma è certo l’unico fra i minatori ad occuparsi della salute dell’amico. Qui si snoda la questione, Malpelo è salvo dall’ ignominiosa querela del coro dei paesani. L’altra parte del sistema, cioè tutti i restanti personaggi che ruotano attorno al protagonista e che si configurano in base al rapporto che instaurano con Malpelo, ricoprono una funzione sicuramente importante ma non fondamentale; almeno non di fondamentale importanza quanto il rapporto instaurato fra Malpelo e Ranocchio. E’ indubbio che Malpelo dimostri la sua più recondita natura attraverso il rapporto con l’amico malato.
La madre e la sorella altro non sono che figure piatte che tolgono a Malpelo l’ultima appiglio possibile per godere dell’affetto di una famiglia canonica. Dal padre Malpelo riceve passivamente le carezze e gode della sua compagnia, ma non ha sufficiente tempo per poter formare una personalità mediata da lui, Misciu Bestia muore prematuramente. Il rapporto con la società esterna alla famiglia è pressoché inesistente dato che Malpelo passa il tempo libero in completa solitudine.
Malpelo instaura un rapporto con la vita che lo rende differente da tutti i protagonisti delle novelle contenute in Vita dei Campi. Mi azzardo a dire che il personaggio di Rosso Malpelo è l’unico ad assumere nel corso della storia precise connotazioni di natura esistenziale. A differenza di personaggi come Pentolaccia, Jeli e compare Alfio, Malpelo non muore nella disgrazia, lui non sferra il colpo tragico che concretizza la fase parossistica della vicenda. Questo perché non esiste nulla che lo sconvolga concretamente, non esiste la speranza che le cose cambino; Malpelo vive in una campana di vetro infrangibile. Il fatto che accetti passivamente il pericoloso lavoro di esplorazione della cava, attività che nessuno all’infuori di lui è disposto a fare, non credo sia per Malpelo un cosciente tentativo di suicidio. Il protagonista si limita a ricevere il lavoro perché non ha altra scelta, perché è nel suo destino essere un uomo privo di speranza.

Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l’oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicchè pensarono a lui. Allora nel partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina ancora nel buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui.

Per quale motivo altri personaggi, di altre novelle, si scagliano verso la morte con violenza?
Perché compare Turiddu accetta di lottare con compare Alfio e ne muore? Perché Pentolaccia e Jeli si macchiano con il sangue dell’omicidio? Perché la bella Peppa, felice promessa sposa, abbandona il suo roseo futuro di moglie per seguire le sorti di Gramigna il bandito? Questi personaggi inseguono la felicità, e credono di conseguenza nel presente della vita. Non si spiegherebbe l’atto tragico se considerassero l’esistenza come una sosta obbligata in attesa della morte . Per Malpelo invece la morte, anche se non desiderata, è il conseguente spegnimento di tutti i dolori fisici ed esistenziali che un uomo deve sopportare nel corso di una esistenza. Malpelo non considera il concetto di felicità, non attende nulla ed è perciò imperturbabile; la disillusione è quindi la sua più efficace arma di difesa.

L’asino grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde,e a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non lo avrebbero fatto piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli in corpo un po’ di vigore nel salire la ripida viuzza. – Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche; anch’esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: <<Non più, non più!>> Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio

Bibliografia
Verga, Giovanni
Vita dei campi, in Tutte le novelle, a cura di Sergio Campailla, Biblioteca Economica Newton, Roma 1992.
Grosser, Hermanne
Narrativa : manuale, antologia, Milano : Principato, 1985

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