martedì 17 aprile 2012



La dolorosa inconsistenza del corpo

di Fabio Prestifilippo


1-Dialogo tra Agostino di Alberto Moravia e Il mare immobile di Valentina Ferri

Il termine inglese environment significa in egual misura ambiente, contesto e condizione; nel nostro caso l’evironment narrativo è il mare, nella fattispecie il soleggiato litorale toscano: Lia di 10 e Agostino di 13 anni con le proprie madri vi trascorrono le vacanze estive, in una apparente quiete alto borghese fatta di bagni nel tardo pomeriggio e di cinema all’aperto. Agostino è un bambino come tanti, colto nel momento del suo transitare lento, ma inesorabile, dalla fanciullezza all’età adulta; qui, tra le pagine di questo romanzo, egli ha ancora i contorni dell’adolescente incompleto.
Sensibile e irrequieta, dotata di un’intelligenza viva e precoce, Lia ama leggere, scrivere e recitare, le piacciono la musica e gli sceneggiati televisivi.
Il nostro mare è lo spazio fisico e temporale nel quale i personaggi si trovano al culmine della loro fanciullezza. In un transito della coscienza tipicamente narcisistico dove la realtà delle cose assume un significato rilevante solo se chiaramente funzionale. Da qui l’incapacità di essere permeabili alla bellezza, segno di un turbamento che è ancora in sordina ma che progressivamente si configurerà come nuova voce dell’io.

Ci si va un giorno sì e uno no: borsa frigo con acqua panini e frutta, bicchieri e tovaglioli di carta e poi via verso la città. Costeggiando le montagne cave di marmo […] Arrivate a Lucca la mamma ogni volta ci fa notare come sono belle le mura ancora intatte, com’è tenuto bene il prato intorno alla città. Poi si prende la strada per Focette, e arrivate lì finalmente via verso la spiaggia. (Il mare immobile)

Finito il bagno, risalivano sul pattino e la madre guardando intorno al mare calmo e luminoso diceva: “Come è bello, nevvero?” Agostino non rispondeva perché sentiva che il godimento di quella bellezza del mare e del cielo, egli lo doveva soprattutto all’intimità profonda in cui erano immersi i suoi rapporti con la madre. (Agostino)

Il mare come la loro sorte morale è destinato a subire un’avanzante trasfigurazione: da luogo ameno della fanciullezza a distesa abbacinante di dolore e rivelazione.
Non essendo esplicita l’intenzione (fortunatamente non lo è mai!) è azzardato dare un termine retorico fisso al luogo della narrazione, altresì credo che all’andamento lineare moraviano e alla turbolenza narrativa di Valentina Ferri il mare sia necessario. Certo non è rischioso pensare che un buon impianto scenografico, quando segue le dinamiche psicologiche dei personaggi e ne diventa in larga misura rappresentazione e simbolo, possa compiere una sorta di miracolo artistico: la metamorfosi da palcoscenico degli eventi a entità fisica e morale; non intenzionale come per il correlativo oggettivo ma in ogni modo “accidentalmente”  indispensabile.

Ho sognato che facevo il bagno nel mare. L’acqua era coperta da una pellicola trasparente, come la plastica che si usa in cucina. Cercavo di mettere la testa sotto, ma quella pellicola mi restava incollata come una maschera. Non riuscivo a respirare. Allora facevo un taglio con le unghie e con i denti e sulla superficie si apriva una fessura. Tentavo di infilare il naso e la bocca in quella ferita, per sentire l’acqua sul viso, per trovare qualcosa che si muovesse. Ero ferma, intrappolata in un mare immobile. (Il mare immobile)
L’investirono subito la bianca vampa, il silenzioso fervore del solleone. In fondo alla strada, in un’aria tremolante e remota, il mare scintillante ed immobile. All’estremità opposta la pineta inclinava i rossi tronchi sotto le masse verdi e afose dei rotondi fogliami.

Il mare è lo spazio infinito, è l’orizzonte senza terra dove la loro pesante gravità di adolescenti in erba nasce, si alleggerisce e diventa improvvisamente confessione ed urlo.

Egli sentiva tutto il suo antico animo ribellarsi a quella immobilità e tirarlo indietro; ma quello nuovo, ancora timido eppure già forte,lo costringeva a fissare spietatamente gli occhi riluttante là dove il giorno prima non avrebbe osato levarli. (Agostino)
Da oggi non parlerò più. Diventerò ancora più grande, lascerò che mi crescano i seni e i peli e diventerò come tutte le donne e come tutte starà zitta, sarò torbida e crudele e piena di segreti. Ma prima di tacere devo tirare fuori quell’urlo. (Il Mare immobile)

2- Lia ed Agostino sono personaggi caratterizzati da peculiarità carenti: estremamente magri, fragili, inappetenti, indifesi. Sembrano crisalidi chiuse nell’involucro della loro resistente fanciullezza. L’occasione che li renderà presenti al loro stato e che produrrà il primo strappo sarà la scoperta dell’effimera idealità del mito materno. Per Lia questo è chiaro sin dai primi movimenti narrativi quando, gelosa della Giulianina, accudita e aiutata da tutti , si sente trascurata e sola; per Agostino la rivelazione si presenta nelle spoglie di un giovane che tenta – con successo -  di intrecciare con la madre una relazione sentimentale. Stupisce in ogni modo come Lia rimanga per tutto il corso della vicenda, anche quando l’allontanamento dal topoi materno raggiunge un livello parossistico palese, strenuamente avvinta all’immagine della madre come figura affettiva iperuranica.

Mi sentivo felice, finalmente noi con la mamma, fuori di sera. La mamma è molto bella, lo dicono tutti, ha i capelli neri e folti.[…] Mi piace annusarla, a lei invece dà fastidio. La mamma non mi bacia mai. Io invece la bacerei di continuo, se non fosse che ormai sono troppo grande e che a lei i baci proprio non piacciono. (Il mare immobile)
E’ in quel momento che io sento che il coraggio forse mi è venuto, che non ho bisogno di nessun elisir per dirle tutto, che lei non mi deve dire grazie che noi due siamo insieme invincibili e che io mentre le stringo la mano sto tornando a essere vera perché si è rotto l’incantesimo, saranno le lucciole le fate gli stornelli dei grilli ma il cuore mi batte forte forte ed è per la gioia. (Il mare immobile)

Cercando un motivo sostanziale per alterare la figura della madre, da elemento amoroso a donna connotabile sessualmente, è più difficile riscontrare questa dualità affettiva in Agostino. L’intenzionalità svolge una funzione di iniziale allontanamento e conclusiva riunione, per cui la vera maturazione sarà solo uno slancio temporaneo nella coscienza del nostro protagonista, un tentativo debole di dar voce all’offesa ricevuta.

Forse per il risentimento di essere stato tratto in inganno e di averla creduta così diversa da quella che era nella realtà; forse perché, non avendo potuto amarla senza difficoltà ed offesa, preferiva non amarla affatto e non vedere più in lei che una donna. (Agostino)

Per Lia ogni occasione è potenziale per ricaricare la spinta di un amore che sembra irrecuperabile o per soffiare sul fuoco di un odio sempre acceso. Lia ha già maturato nei confronti della madre una contrattura costantemente predisposta a palesarsi con violenza schizzofrenica.
Puttana.
Puttana, come dice papà di certe donne.
Ora anche la mamma è una puttana. (Il mare immobile)

 In questo senso  le storie posseggono un ritmo narrativo del tutto differente:  il ritmo Moraviano mantiene una linearità temporale continuativa; Lia si muove tra spazi transitori, tra continue analessi e sbalzi nel presente.

3- Il corpo di Lia è estraneo a se stessa: l’inappetenza, la vergogna delle forme, la sensazione di morte rendono con cognizione di causa la nostra eroina del tutto simile alle altre adolescenti. E’ il caso di dire che, a differenza di Agostino, il corpo di Lia è un io-corpo. La dialettica tra le due entità è per natura generatrice di ansie e paure. Nel chiuso della sua stanza da bambina Lia sperimenta il solo e segreto godimento che il copro può darle: strofinandosi la coperta tra le gambe prova un piacere che la calma, che in  una dimensione altra produce una pacificazione tra l’io-corpo e la microsocietà del suo nucleo famigliare. 

Ho preso il giornale e l’ho portato in camera: poi come faccio di sera per addormentarmi ho preso la coperta e l’ho strofinata tra le gambe. Ho pensato che mi andrebbe che Giuliano mi facesse le stesse cose di quella della foto,e  che io direi no no non voglio e lui mi ascolterebbe perché capirebbe che mi piace, alla fine. Dopo un po’ di avanti e indietro mi è sembrato che scoppiasse qualcosa, mi è mancato il fiato e ho stretto ancora più forte perché quel calduccio tra le gambe non smettesse. Poi mi sono sentita molle, e contenta. Dopo la copertina mi sono passate anche le paure di morire. (Il mare immobile)

La definizione io-corpo è calzante: Lia usa la propria fisicità come schermo di difesa, come strumento di piacere, come merce di scambio d’amore. La sua esile figura che non prova appetito per il cibo e la vita diventa l’atto di accusa verso una madre problematica ed assente; la tendenza ad odiare i propri seni acerbi è rifiuto del cambiamento, è implicito bisogno d’essere ancora una bambina in attesa dell’affetto e della protezione famigliare e l’iniziale sottomissione all’uomo che la coprirà di attenzioni e alle quali lei accondiscende è paura di perdere l’unico vero, sebbene deviante, legame affettivo.

Poi quando finiva tutto lui diceva vado a lavarmi le mani, tu vestiti. Era piuttosto un ordine, e difatti quando parlava così gli veniva una voce bassa bassa, e io avevo paura di averlo fatto arrabbiare per qualcosa, e che non mi amava più. E io ci tenevo tanto a sentirmi la sua fidanzatina segreta, perché avevo un bisogno grande di amore[…] (Il mare immobile)

In Agostino il corpo non assorbe nessun cambiamento perché è nella crisi introspettiva che si genera e si conclude la sua vicenda. Non ci sono reazione fisiologiche che possano farci pensare ad evoluzione di tipo sessuale -  Agostino, anche quando l’acredine cresce,  è pur sempre cedevole alle carezze della madre – la decisione infelice di rivolgersi a prostitute non nasce dalla curiosità del sesso, fisicamente inteso, ma solo come forma di riscatto e di perentorio allontanamento.
[…] nello sforzo di restare obbiettivo e sereno, avrebbe voluto provare un sentimento di comprensione per il giovane e di indifferenza per sua madre. (Agostino)

Gli pareva che soltanto in questo modo sarebbe finalmente riuscito a liberarsi dalle ossessioni di cui aveva tanto sofferto in quei giorni d’estate. Conoscere una di quelle donne, pensava oscuramente, voleva dire sfatare per sempre la calunnia dei ragazzi; e nello stesso tempo tagliare definitivamente il sottile legame di sensualità sviata e torbida che si era creato tra lui e sua madre. (Agostino)

La fisicità di Agostino non è un io-corpo,  o quantomeno non lo è ancora completamente. Agostino non si masturba, il piacere non lo attraversa mai nelle viscere; quello di  Agostino è un corpo che non desidera. Si fatica a considerarlo al di fuori di un contesto prettamente borghese: lui è bello, filiforme e fragile, quasi etereo. Sarà la banda dei reietti capitanata dal Saro, marinaio con sei dita per mano e incline ad una sessualità deviata, a renderlo presente ai propri ingombri terrestri; saranno la violenza delle botte, l’incapacità di difendersi, le prove di forza, la sigaretta spenta nella mano, le carezze del Saro a  mutare il suo corpo da pura inconsistenza a termine di paragone sociale. La violenza plebea è per il nostro eroe una rivelazione che investe completamente un  mondo del tutto anonimo.

I ragazzi invece parevano gioiosi di mettersi nudi e si strappavano i panni urtandosi e interpellandosi scherzosamente. Erano, contro lo sfondo delle canne verdi, in parte bruni e in parte bianchi, di una bianchezza squallida e villosa, dall’inguine fino alla pancia; e questa bianchezza rivelava nei loro corpi quel non so che di storto, di sgraziato e di eccessivamente muscolo che è proprio della gente che fatica manualmente. (Agostino)

Mentre Lia sperimenta Agostino razionalizza, mentre il sesso per Lia è una nuova forma di intimità con se stessa, sebbene deviata dalle tensioni di un rapporto anormale e violento, per Agostino rimane nel novero delle fantasie, nella sua adolescenziale incompletezza, nel rozzo spettacolo dei ragazzacci che si rotolano nella polvere avvinghiandosi.
Il finale è di pura eccellenza letteraria. Lia ed Agostino abbandonano la scena della narrazione in modo magistrale: Lia con un urlo progressivo, Agostino con una riflessione che sembra una lenta dissolvenza nel buio della notte. Allora cosa accomuna un urlo e un abbandono? Per Lia ed Agostino che hanno vissuto sospesi in una realtà dai contorni sfumati, una realtà imprendibile, evanescente, ricettacolo del loro male di vivere, la dissolvenza e l’urlo sono il ritorno, nella veste dei vinti, alla loro condizione iniziale; quando ancora non speravano.

La madre rise e gli accarezzò una guancia. “Ebbene, d’ora in poi ti tratterò come un uomo… va bene così? E ora dormi… è molto tardi.” Ella si chinò e lo baciò. Spense il lume, Agostino la sentì coricarsi nel letto. Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addormentarsi. Ma non era un uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse. (Agostino)
Penso alla Mila di Codra che brucia e l’urlo arriva subito. Ma non è un urlo di dolore, non sento male da nessuna parte. Io urlo di spavento di paura, metto una a nel grido e la a si allunga poi si allarga e infine diventa roca, uno strillo di animale che si spegna in gola, con un colpo secco. (Il mare immobile)






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